
Facciamo un salto al di là dell’oceano, nella casa-madre del mondo occidentale: il PIL statunitense è aumentato di oltre tre punti e mezzo percentuali di crescita, ma – scrive da New York Elena Molinari, corrispondente di “Avvenire” – “il prezzo pagato per uscire dalla crisi è troppo alto, e le conseguenze saranno pesanti. Un dato per tutti: nel 1991 il debito pubblico Usa era pari al 56 % del PIL. Nel 2010, secondo alcune stime, sarà quasi equivalente al prodotto interno lordo nazionale: circa 14.500 miliardi di dollari (…). Ma se il debito va ridotto, per non finire nel circolo vizioso di interessi alti, inflazione e svalutazione del dollaro, come lo si ripaga? Tagliando i servizi o aumentando le tasse”.
Debito pubblico o Stato sociale: bisogna sapere che questa è l’alternativa fondamentale, e che occorre scegliere. Il “debito pubblico” (le virgolette non sono casuali) è frutto della rinuncia alla sovranità monetaria da parte dello Stato, un’abdicazione folle compiuta a favore della Banca d’Italia prima e della BCE poi : a favore cioè di banchieri e capitalisti finanziari privati che battono denaro al posto dello Stato vendendoglielo come fosse loro. La composizione del “debito pubblico” è a tal proposito illuminante, e in questo senso (nell’accettare di doverlo perennemente ripianare) si può veramente parlare di “spreco di denaro pubblico”! Privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica (allo Stato sociale, in ultima analisi) e pressione fiscale hanno come primo e fondamentale obiettivo l’affannosa rincorsa a tale arbitrario e istituzionalizzato debito, una vera e propria servitù che riguardando lo Stato e gli altri enti pubblici coinvolge tutti noi. Il fatto è che – come perfino il guru della globalizzazione Jacques Attali annota – “gli sforzi di investimento e il denaro disponibile sono stati concentrati sulla speculazione finanziaria”, e per invertire la tendenza non occorre meno Stato nell’economia ma, al contrario, più intervento pubblico; infrastrutture, maggiore sostegno all’economia produttiva e sovranità monetaria ricondotta allo Stato, per farla finita con l’indebitamento artificiale perpetuo.
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